EMOZIONI: SCOPI EVOLUTIVI
SENTIRE LE EMOZIONI

EMOZIONI: SCOPI EVOLUTIVI
SENTIRE LE EMOZIONI

Accogli il sentire

Accogli il sentire

Dai primi mesi della gestazione fino al quarto-quinto anno di vita si sviluppa l’intelligenza emotiva primaria, che ci consente di sentire le emozioni di base e che permette la comunicazione con chi si prende cura di noi.

L’intelligenza emotiva primaria è fondamentale perché quando veniamo al mondo abbiamo bisogno di qualcuno che si prenda cura di noi. Il bambino appena nato, infatti, è in grado di sopravvivere solo tramite le cure che arrivano da persone esterne. Fin da subito abbiamo quindi bisogno di costruire relazioni e di comunicare.

La prima forma di comunicazione emotiva avviene tra bambino e madre già durante i mesi di gestazione. Gli stati emotivi della madre si riverberano infatti sull’embrione attraverso modificazioni chimiche e ormonali del suo mondo primigenio.

Anche da adulti la nostra intelligenza emotiva primaria continua a svolgere la sua funzione: attraverso il riconoscimento delle nostre reazioni emotive, diventiamo capaci di comprendere di cosa abbiamo bisogno, cosa ci piace, cosa non ci piace, cosa dobbiamo evitare, cosa o chi vogliamo avvicinare.

All’inizio, però, la preoccupazione fondamentale dell’intelligenza emotiva primaria è quella di gestire questa relazione con gli altri, necessaria per vivere. Attraverso l’intelligenza emotiva primaria, infatti, il bambino comunica alla madre in modo che lei poi possa prendersi cura di lui dato che non potrebbe sopravvivere senza aiuti esterni. Per questo motivo, la natura ha creato un meccanismo di amore naturale per i bambini, rendendoli capaci di suscitare tenerezza e amore: l’attrazione naturale che i bambini esercitano, e la cura amorevole che tendono ad attivare negli adulti è un meccanismo evolutivo che permette la sopravvivenza della specie.

I bambini attivano l’intelligenza emotiva evoluta degli adulti, che è l’intelligenza che permette di esprimere amore, cura, accettazione, accoglienza, che sono esattamente ciò che al bambino serve per poter imparare a riconoscere e gestire le emozioni primarie. Questo tipo di intelligenza ha proprio la funzione di farci riconoscere quello che stiamo provando e di trasmetterlo all’esterno per far sì che gli altri si prendano cura di noi.

La madre, o chi per lei, utilizzando la propria intelligenza emotiva, è in grado di riconoscere il bisogno fisiologico del bambino e di fornire la risposta adeguata. Questo porterà il bambino ad associare una certa reazione nel corpo con una determinata risposta.

Ad esempio nell’allattamento la risposta continua della madre crea nel bambino la capacità di riconoscere la sensazione di fame alla presentazione del seno e poi associare quella sensazione al conseguente senso di pienezza e benessere. Se la madre è in grado di riconoscere i suoi bisogni, questo permette al bambino di riconoscere le proprie emozioni attraverso la creazione di un suo modello interno.

L’intelligenza emotiva primaria è dunque legata ai sensi e ha come obiettivo principale la nostra sopravvivenza, intesa come sopravvivenza emotiva, cioè possibilità di interagire con i membri del gruppo, allontanamento dalle situazioni di sofferenza e ricerca di sensazioni positive.

Questo livello si caratterizza per la presenza di due paure fondamentali:

• la paura di soffrire
• la paura di non essere amati.

La prima è legata al sistema di ricerca del piacere/allontanamento dal dispiacere; la seconda invece alla funzione di sopravvivenza delle relazioni primarie che si sostengono sul sentimento d’amore di chi si prende cura del bambino. Vedremo come queste due paure e il modo in cui ci organizziamo per affrontarle determinano molti dei nostri comportamenti adulti.
Dalla nostra capacità di riconoscere e gestire le emozioni primarie, come rabbia, paura, gioia, sorpresa, disgusto, tristezza, dipende molto della nostra capacità futura di amare, relazionarci con gli altri ed essere connessi col mondo.

L’intelligenza emotiva primaria emerge in noi nei primi mesi di vita, ma continua a svilupparsi per tutta la vita, per orientare le nostre scelte nel gruppo sociale. L’insieme delle nostre caratteristiche personali, l’amore che riceviamo nei primi anni di vita, uniti con l’ambiente sociale nel quale cresciamo, determinano il modo in cui impariamo a gestire le emozioni primarie e quindi determinano buona parte della struttura di base della nostra personalità.

Le nostre scelte adulte sono influenzate in maniera massiva dalla nostra intelligenza emotiva primaria che, come ogni altra intelligenza, ha i suoi specifici automatismi e le sue modalità di sopravvivenza che possono drenare le nostre energie o ridurre l’esperienza che possiamo fare della vita e della realtà. Può ad esempio accadere che la tendenza a evitare il dispiacere guidi i nostri comportamenti adulti, soprattutto se non apprendiamo a tollerare la frustrazione e il dolore e a considerarli come un passaggio obbligato per la crescita.
In questo caso rischiamo di non affrontare mai certe questioni per paura di soffrire e quindi non attraversiamo mai i passaggi di crescita (il Grow Up di cui abbiamo parlato nella Prima Parte del libro) condannandoci a un infantilismo perenne. Oppure rinunciamo ad alcune cose ancora prima di averci provato per evitare l’eventuale sofferenza che deriverebbe dal non essere riconosciuti o amati abbastanza.


I modi in cui la gestione delle emozioni determina le nostre scelte sono praticamente infiniti. Se non fai chiarezza su queste fasi della tua formazione emotiva, rischi di rincorrere tutta la vita qualcosa che appartiene al passato o di mostrare una parte di te che è legata a qualcosa che non c’è più.

È come se ti avessero detto per tutta la vita che il cioccolato è pessimo. Poi un giorno, per caso, assaggi una torta al cioccolato e scopri che quello che hai evitato tutta la vita è buonissimo e, per giunta, ti rende felice. Il cioccolato è l’ingrediente che ha reso speciale la torta. Allo stesso modo, ci sono ingredienti emotivi fondamentali che non riconosciamo perché siamo stati educati a non farlo. Così, anche se le condizioni di bisogno o autodifesa di quando eravamo piccoli non ci sono più, restiamo chiusi alle nuove emozioni.

Riuscire a diventare consapevole delle tue emozioni primarie ti farebbe risparmiare tutta l’energia che invece adesso disperdi in attività di difesa e protezione che hanno il solo obiettivo di suscitare un’attesa da parte degli altri ma che non contribuiscono alla tua crescita ed evoluzione.

Se ti guardi dentro con consapevolezza, riuscirai a individuare l’emozione fondamentale sulla quale hai costruito la tua personalità. È un elemento difficile da riconoscere e condividere, ma affrontare questo lavoro di consapevolezza è l’unico modo per permettere a questa emozione di far parte della tua vita in maniera consapevole.

La nostra capacità di riconoscere le emozioni da una parte dipende dalle nostre qualità genetiche e dall’altra da come l’ambiente familiare, sociale e culturale in cui cresciamo ci insegna a gestirle. Proviamo a fare degli esempi. Se un bambino nasce e cresce in un ambiente familiare dove la rabbia è scoraggiata, potrebbe sviluppare una tendenza a non esprimere mai questa particolare emozione, a bloccarla. Questo può succedere soprattutto quando il suo livello di energia è superiore a quello dei suoi genitori; questi infatti possono scambiare l’energia e l’eccitazione del figlio per aggressività e, non avendo strumenti sufficienti per gestire questa energia, tendono a sopprimerla, rimproverandolo con severità o reagendo in maniera repressiva a ogni manifestazione di questo tipo.

La stessa cosa può avvenire con qualsiasi altra emozione. Se vivo in un contesto in cui non è possibile essere tristi, magari perché mia madre diventa molto ansiosa e preoccupata ogni volta che mi vede triste, o perché mi viene insegnato che non si deve piangere, o perché mio padre sta attraversando una crisi finanziaria o lavorativa e in casa nessuno deve farsi vedere triste per non farlo sentire in colpa, allora potrei tentare di nascondere costantemente la tristezza, agli altri ma anche a me stesso.


Il modo in cui tratto, riconosco e gestisco lo scorrere di un’emozione è quindi dato dall’incontro tra le mie caratteristiche personali e quello che l’ambiente mi consente di fare. Questo incontro avviene in un’epoca molto precoce della nostra vita, spesso in circostanze che sono fuori dal nostro controllo e spesso anche fuori del controllo dell’ambiente in cui cresciamo.

Infatti, quali che siano i risultati di questo incontro, è molto importante sfuggire alla tentazione di incolpare la famiglia o colpevolizzarsi per quello che è successo. Non serve a niente, anzi tende a mantenere le cose così come sono. Ogni genitore cerca di fare del suo meglio, ma nessuno può insegnare a un altro a gestire emozioni che lui stesso non sa elaborare. Le difficoltà emotive, se non vengono elaborate, si trasmettono in modo inconscio da una generazione all’altra.


Allora cosa possiamo fare? La sfida è capire che anche un’emozione che abbiamo imparato a etichettare come negativa, può essere portatrice sana di energia se quell’energia può essere messa in circolo ed elaborata.

Ogni emozione primaria, infatti, ha l’obiettivo di segnalarci che qualcosa è accaduto nella nostra situazione interna ed esterna e sta avendo un impatto sulla nostra vita. Le prime emozioni che vengono sperimentate sono rabbia, paura, tristezza, gioia, disgusto o rifiuto e sorpresa. Si tratta di emozioni codificate da studi biologici e psicologici. Ognuna ha uno scopo fondamentale.

Tratto dal libro BLOOM. Fiorire con le Intelligenze Evolutive​​